Venerdì 5 aprile 2013 è stata presentata l’edizione italiana del Rapporto del Club di Roma “2052: Scenari globali per i prossimi quarant’anni”.
L’evento è stato promosso dal WWF, dal Club di Roma e dalla Fondazione Aurelio Peccei che lo rappresenta in Italia, in collaborazione con UniCredit, che dal 2008 ha avviato con WWF un percorso congiunto sulla sostenibilità ambientale, in particolare sul tema dei cambiamenti climatici.
Nel 1972 il Club di Roma ha pubblicato il volume “I limiti dello sviluppo” - curato da un gruppo di esperti di diversa estrazione scientifica del prestigioso MIT di Boston - che per la prima volta mise in discussione il paradigma e il mito della crescita continua rispetto ai limiti biofisici del pianeta , ponendo le basi per una riflessione ed una questione ancora aperta ed attuale.
Nel 2012 Jorgen Randers, coautore con Aurelio Peccei ed altri del fondamentale citato volume ha ripresentato lo scenario scadenzandolo fino al 2052 e nell’Aurelio Peccei Lecture dello scorso 5 aprile ne ha riassunto i contenuti.
I primi spunti di riflessione sono stati dati da Enrico Giovannini, Presidente dell’Istat, che ha auspicato una più corretta gestione del fattore tempo nell’affrontare le grandi sfide che abbiamo davanti per uno sviluppo che sia equo e sostenibile. Il punto di partenza da cui muovere è la consapevolezza che la crisi nata nel 2007 è una crisi sistemica, al contempo ambientale, climatica, energetica, alimentare, sociale e che di questa interconnessione e complessità bisogna ormai con urgenza tener conto nella formulazione delle politiche e, più in generale, nel modo di approcciare le grandi questioni presenti e future.
E’ ormai accertato che Il PIL è una misura insufficiente e sempre più distorta del progresso economico e sociale e dal 2007 ce lo ricorda anche il Premio Nobel Amartya Sen. Il dibattito sul suo superamento come unico indicatore di progresso dura ormai da quarant’anni, ma le politiche e il modo di concepire la crescita e lo sviluppo nel mondo sono ancora fortemente improntate solo alla misurazione della crescita economica.
Bisogna cambiare il modo di misurare il benessere collettivo reale. Per il 2015 le Nazioni Unite stanno elaborando nuovi obiettivi (SDG: Sustainable Development Goals) per aggiornare i Millenium Development Goals (MDG) e allargarli a tutti i paesi, non solo ai cosiddetti “paesi in via di sviluppo”.
Gianfranco Bologna, Direttore Scientifico WWF Italia e Segretario Generale Fondazione Aurelio Peccei, ha ricordato il pensiero di Peccei sulla necessità di imparare a vivere con le risorse di un solo Pianeta. Il capitale naturale deve essere al centro della nostra azione, ben consapevoli che il deficit ecologico non è colmabile.
Jorgen Randers, ha prodotto in quest’ultimo rapporto una “previsione ragionata” sulla base di tendenze bio-fisiche evidenti e non reversibili nel breve periodo. Causa principale dei problemi futuri è il modello politico ed economico dominate, caratterizzato dalla lentezza dei processi decisionali e dalla mancanza di visione a lungo termine.
Bene Comune e Bene individuale dovranno sempre più coincidere se intendiamo garantirci un futuro degno di essere vissuto , ma il problema più evidente è la tendenza ad osservare il mondo ed a ragionare solo a breve termine.
“Se l’umanità continua il suo percorso di consumo eccessivo delle risorse con una visione a breve termine potrebbe non sopravvivere”. Ciò che deve cambiare è proprio la capacità di risposta umana a breve termine e troppo lenta per fermare il declino.
Urge un sistema di governance che ponga maggiormente l'accento sugli interessi dei nostri figli e dei nostri nipoti e governi che ci costringano ad agire con una visione più a lungo termine.
Tra i principali punti evidenziati:
- La popolazione arriverà a 8 miliardi di individui nel 2040 per poi decrescere.
- La crescita economica sarà molto lenta fino al 2040, con calo della produttività.
- I consumi stagneranno perché le società dovranno spendere sempre di più per riparare ai danni prodotti dall’insostenibilità ambientale e sociale della crescita economica illimitata.
- Nel 2030 sopraggiungerà un calo del consumo voluttuario, perché saremo obbligati a sostenere le spese per l’Ambiente.
- Il picco di consumo di Energia si avrà nel 2040 per poi declinare.
- Nel 2050 i combustibili fossili copriranno il 50% di fabbisogno energetico mentre il resto deriverà dalle Energie Rinnovabili. Queste non riusciranno comunque a sostituire i combustibili fossili in tempo utile per eliminare completamente la possibilità di un riscaldamento climatico catastrofico.
- La concentrazione di CO2 nell’atmosfera continuerà ad aumentare arrivando ad un incremento di 2° C nel 2052, con conseguenti forti sconvolgimenti climatici ed impatti su economie e condizioni di vita di intere comunità.
- Non avremo problemi di disponibilità totale di cibo, ma di sicurezza alimentare dovuta al fatto che il cibo continuerà ad essere prodotto e distribuito in modo fortemente diseguale nelle diverse aree del globo.
- Ipotesi di creazione di una Banca Centrale Globale (sovranazionale, modello BCE) per gestire unitariamente i diritti di emissione dei gas effetto serra.
- Con la crescita lenta e l’iniquo accesso alle (scarse) risorse aumenteranno e si inaspriranno le tensioni sociali ovunque.
Alcune conclusioni del rapporto.
Il Pianeta è troppo piccolo, il picco di consumo ambientale è vicino, negli ultimi 40 anni la crescita ha raddoppiato l’emissione di CO2 nell’atmosfera.
L’overshoot “irreversibile” (superamento della soglia critica: quando il ritmo del consumo di risorse sul pianeta supera la capacità di quest'ultimo di rigenerarle negli stessi tempi) è altamente probabile. Una volta che avremo superato la soglia critica senza rientrare nei limiti o attraverso un declino controllato (ad es. stabilire la soglia massima di prelievo di pescato in un anno) o con un collasso indotto dalla natura (fallimento della comunità di pescatori perché non c’è più pesce) la contrazione è inevitabile.
(Il superamento della soglia critica secondo il Global Footprint è avvenuto a metà degli anni 70, è stato allora che i consumi umani hanno superato ciò che la terra è in grado di riprodurre. Anche stavolta non si tratta di scarsità ma di ritmo. Consumiamo troppo velocemente rispetto ai tempi di rigenerazione dei cicli vitali. Questo inevitabilmente ha costi significativi, economici, sociali, oltre che ambientali e climatici.)
Tale superamento potrebbe essere evitato con politiche lungimiranti e processi decisionali meno lenti: ritardi nella percezione e localizzazione dei problemi e dei limiti e nell’applicazione di soluzioni incidono infatti fortemente sul superamento della soglia critica della nostra impronta ecologica.
In tal senso, anche i Millenium Development Goals, pur rappresentando ancora la migliore indicazione sul da farsi, sono ancora lontani dall’aver portato a decisioni condivise e per questo si sta lavorando a nuovi indicatori (SDG, v. sopra).
Per approfondire e visualizzarne i contenuti del rapporto: www.2052.info.